11:53 - mercoledì, 24 Aprile 2024

“Dottore, ho una Tulip nella testa”- Recensione di Giulia Lollobrigida

Dottore, ho una Tulip nella testa “La felicità non si siede, resta in piedi”
di Luca Nicoli e Elisa Ferrari

Una trama originale, avvincente, capace di tenere il lettore inchiodato alle vicende che si snodano intorno ai due protagonisti principali: Adelaide Parodi, una giovane donna in carriera e Stefano Lamandini, psicoanalista empatico e solerte, occupato a prendersi cura più dei suoi pazienti che di sé stesso.
Tra i due inizia una particolare corrispondenza digitale quando Adelaide, che alla sofferenza ha reagito con una vita improntata sul controllo, iniziano a “non tornare i conti”.
Alcune volte, lo sappiamo bene, basta una semplice domanda per mettere in crisi un sistema di difese!
Adelaide, nel panico, scrive al dottor Lamandini, che da bravo filantropo non può far altro che rispondere alle lettere della giovane donna, cercando di dare forma ai suoi pensieri.
Ma se una domanda, un nuovo sentire, sconvolge la vita di Adelaide, il dottor Lamandini non è da meno; una serie di avvenimenti sono in agguato, pronti a turbare la sua esistenza.
“Questo è un libro che ti fa entrare nella stanza di analisi!” si dice di un trattato di psicoanalisi particolarmente ben riuscito.
“Dottore ho una Tulip nella testa” è un libro che, invece, ti fa entrare “nella mente (e nel corpo)” di uno psicoanalista-uomo impegnato, come tutti, a districarsi tra lavoro ed affetti, tra conflitti, speranza e dolore.

Studenti di psicologia, psicoterapeuti in formazione, psicoanalisti, nessuno avrà difficoltà a identificarsi con questo o quell’aspetto dell’impacciato dottor Lamandini!
Il tutto condito, però, da due ingredienti indispensabili: il primo è la Psicoanalisi che, come ci dice il dott. Lamandini è “quella malattia di cui essa pretende di essere la cura”, il secondo è l’umorismo che, citando Freud, “rappresenta il trionfo non solo dell’Io, ma anche del principio del piacere, che qui sa affermarsi contro le avversità delle circostanze reali”.
Già perché è con umorismo (e delicatezza) che gli autori accostano il dolore, che proprio come nella vita vera, talvolta si erge a protagonista delle vicende dei personaggi della storia.
Due parole vorrei spenderle, infine, per i personaggi secondari, macchiette ben delineate, tanto reali da sembrare proprio lì, davanti ai nostri occhi.
Dall’arrogante Mezzosalma, arrivista collega di Adelaide, ottuso quanto fuori luogo, a François, il robusto e godereccio proprietario francese de Le Petit rêverie, passando per i pazienti del dott. Lamandini, come Maddalena, la cui storia di sofferenza e rinascita ci accompagna fino all’ultima pagina.

Insomma, “Dottore ho una Tulip nella testa” è un libro che lascia il lettore con il fiato sospeso fino all’ultima pagina. Sospeso dal latino suspendere “fissare un oggetto in alto in modo che non tocchi terra o il piano d’appoggio”, come direbbe il saggio analista del dottor Lamandini.
Ma oltre il fiato è la mente che resta sospesa, sospesa nel senso che non tocca mai una terra-Verità (non ci scordiamo che O è inconoscibile!); ogni volta che siamo portati a pensare di aver capito finalmente che cosa sta succedendo nelle vite di Adelaide e del dottore ci accorgiamo di non aver capito un bel niente, nessun punto di arrivo.
Quello che è importante è sempre l’elemento “non saturo” ci insegna Bion.
Ed io spero di non saturare troppo con un piccolo spoiler: la Tulip è una sedia! Una sedia di design, nessuna nuova patologia non ancora inserita nel DSM…

 

Giulia Lollobrigida